LO SPECCHIO DELLA SEDUZIONE
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Il profeta-burlone Palazzeschi lo aveva detto:
“… usarla (la pubblicità) per i problemi dello spirito era ritenuta dai benpensanti tale ignominia per cui nessun vocabolario possedeva una parola infamante per poterla degnamente qualificare”.
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Fino a non molto tempo fa, ma ancora succede, la pubblicità era vista come un’attività culturalmente minore se non vergognosa (di cui vergognarsi).
Ora le cose stanno cambiando e di pubblicità si discute sempre di più a livelli culturali “alti” e senza troppi complessi di inferiorità. È un fatto certamente positivo (così come era negativo il moralistico tentativo di rimuovere un fenomeno culturale tanto rilevante) che discende dalla rivalutazione di quella che Braudel ha definito “cultura materiale” e insieme da una più accurata analisi delle strutture sociali, come abbiamo ormai appreso con profitto dai semiologi, a partire da Lotman.
“Tutto è segno”, suggerisce Lotman, dunque ogni comportamento, ogni forma di espressione come movimento del corpo, sono figure della cultura e nessuna è separabile dall’altra. Ecco, di conseguenza, entrare in crisi la distinzione tra cultura alta e bassa; ed è subito rivalutazione del sistema della moda insieme all’arte della cucina e lust but not least, delle forme della pubblicità, sia dal punto di vista estetico che inserite nel sistema generale dell’arte della retorica e della persuasione.
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